Questa è una tabella di confronto del metodo a freddo di base e delle sue principali varianti. Il metodo a freddo di base è quello più adatto ai principianti perché permette un controllo più accurato delle temperature e quindi consente di evitare sorprese dovute alla scarsa conoscenza delle reazioni dei singoli ingredienti. Il metodo a temperatura ambiente è quello utilizzato per il whipped soap e per le tecniche swirl più complesse. Il metodo a freddo di base e le sue principali varianti sono descritte nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale”.
Author Archives: Patrizia Garzena
Il giardino dei saponai: la lavanda
La lavanda è un’altra pianta molto popolare tra tutti coloro che fanno il sapone in casa e che, quindi, meriterebbe di essere piantata nel nostro ideale giardino dei saponai. Esistono molte varietà di lavanda, riconoscibili dalla forma e dal colore dei fiori, ma quelle più rustiche e più usate sono le varietà officinalis, angustifolia, latifolia (detta anche spica), hybrida (lavandina).
La lavanda è una pianta che ama il caldo, il sole e il terreno calcareo. Per farla stare bene bisogna piantarla in un posto ben esposto alla luce solare, riparato dal gelo e dal vento freddo invernale, ben drenato perché le sue radici non vogliono assolutamente affondare in terreni argillosi o troppo ricchi di acqua. E’ necessario potarla all’inizio della primavera e senza aver paura di esagerare perché soltanto eliminando i rami vecchi, la pianta potrà buttarne di nuovi e regalarci stupende fioriture durante l’estate.
E’ facile riprodurla da talea, tagliando a fine estate i rametti che non sono fioriti e interrandoli in un vasetto. Se vivete in una zona fredda, terrete i vasetti al riparo durante l’inverno e, la primavera, successiva avrete altre piantine di lavanda da mettere a dimora.
Usi nel sapone: come per la calendula, i fiori di lavanda possono essere utilizzati per preparare oleoliti per il sapone. Nonostante l’inteso profumo che daranno al vostro olio, molto probabilmente non saranno sufficienti a profumare altrettanto intensamente il sapone, ma vi converrà rinforzarne l’effetto con olio essenziale di lavanda. Si può usare la lavanda anche come infuso per la soluzione caustica, ma con la consapevolezza che, come per la maggior parte degli infusi, il sapone non acquisterà né particolare profumo, né colore ma anzi diventerà marroncino. I fiori secchi possono essere aggiunti al sapone per ottenere un effetto scrub piuttosto deciso. Vanno utilizzati fiori secchi, tritati e aggiunti in virtù di un paio di cucchiai colmi per chilo di grassi di base. Non stupitevi se, durante il processo di saponificazione, attorno ai fiori di lavanda potrà crearsi una macchiolina scura. E’ una reazione del tutto normale e non significa che il sapone abbia qualcosa che non va.
Liscivia, sappiamo di che cosa stiamo parlando?
“Liscivia” è uno di quei termini che, un linguista, definirebbe polisemici. Parole che hanno cioè significati diversi. Per questo il vocabolo viene spesso usato per indicare cose che, in realtà sono diverse dal punto di vista chimico, anche se accomunate dalla funzione detergente/pulente.
Liscivia è un termine desueto per le soluzioni caustiche di idrossido di sodio o idrossido di potassio in acqua (quelle che usiamo per il sapone). Liscivia può essere il prodotto più o meno concentrato della macerazione della cenere di legna in acqua. Liscivia è il nome popolare di detergenti che si usavano una volta a base di sapone, perborato, carbonato di sodio. Liscivia può genericamente indicare una soluzione detergente/alcalina non meglio definita.
Ogni volta che usiamo o leggiamo questa parola, dovremmo chiederci qual è il contesto in cui si presenta e, soprattutto, cercare di capire se stiamo tutti parlando della medesima cosa.
In questo post vi spiego invece perché il sapone con la liscivia di cenere non si può fare.
Il giardino dei saponai: la calendula
Inauguro oggi una microscopica scuola di giardinaggio per chi vuole coltivare in casa o sul balcone le piante che si usano più di frequente nel sapone. Tra queste merita un posto d’onore la calendula (nome botanico Calendula officinalis) che ho seminato proprio oggi, approfittando di una bellissima giornata di sole dopo una primavera un po’ pazzerella. Vivo in una zona climatica che può essere paragonata a quella alpina, con estati brevi e fresche, inverni lunghi e molto freddi. Per questo motivo preferisco seminare le calendule in aprile/maggio in modo da poterle raccogliere verso la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. In zone più calde si possono seminare le calendule anche in estate, godendo della loro fioritura verso il tardo autunno.
I semi della calendula si trovano in qualsiasi garden center o negozio di giardinaggio. Cercate la varietà giusta, controllando il nome botanico riportato sulla confezione, perché esistono molte varianti ornamentali di questa pianta e non è automatico che tutte siano ugualmente pregiate per l’uso in cosmetica o in erboristeria. Sia che lo si faccia in un’aiuola, ai bordi dell’orto o in un vaso del balcone, per seminare la calendula basta spargerne i semi sul terreno, coprirli leggermente con del terriccio e innaffiare a volontà. Le calendule producono molti semi quindi, se li raccoglierete una volta giunti a maturazione, potrete metterli a dimora l’anno successivo senza doverli ricomprare.
La calendula è una pianta rustica che ha bisogno davvero di pochissime cure: acqua e sole sono gli elementi che le servono per crescere felice. Anche se la terrete in vaso, cercate di trovarle un posto soleggiato e vi ricompenserà con fioriture ricchissime.
I fiori di calendula vanno raccolti quando sono asciutti, fatti seccare all’ombra in un luogo ben ventilato, avendo cura di girarli e di tenerli molto ben puliti per evitare marciumi o muffe. Io uso un telo di tulle ben teso tra due montanti (potete usare dei libri o altri oggetti pesanti a questo scopo) perché i buchini della stoffa consentono all’aria di circolare e permettono alla polvere di non depositarsi sui fiori.
Usi nel sapone? Si può fare un infuso di fiori freschi o secchi e utilizzarlo come liquido della soluzione caustica o per la diluizione della pasta di sapone liquido come descritto nel manuale “Il tuo sapone naturale”. Si possono aggiungere piccole quantità di fiori secchi (1 cucchiaio per kg di grassi di base come norma) per aggiungere texture e un leggero colore. Si possono preparare oleoliti da utilizzare come superfatting al nastro nei saponi a freddo o dopo la cottura nei saponi a caldo. Gli oleoliti di calendula danno un leggero colore giallo/arancio al sapone se sono usati in grande quantità. A parte il discorso dell’infuso, preferite fiori secchi per tutti gli altri utilizzi nel sapone. La presenza di acqua nei fiori freschi può sempre dare qualche inconveniente come la formazione di muffe e fermentazione.
Sapone: le dieci cose da non fare
1) Cominciare a far sapone senza aver capito nulla della saponificazione, delle reazioni degli ingredienti e delle loro funzioni. Un minimo di studio preventivo è necessario per evitare disastri e frustrazione.
2) Cominciare a far sapone senza avere imparato perfettamente come si maneggiano gli alcali (soda caustica o idrossido di potassio) in sicurezza.
3) Versare l’acqua sulla soda o sul potassio. Si fa sempre e solo il contrario! Per precauzione, è meglio anche versare la soluzione caustica nei grassi e non viceversa.
4) Usare misure di volume (litri, millilitri etc) anziché le misure di peso (grammi, kilogrammi). Gli ingredienti fondamentali del sapone (grassi, alcali, liquido per la soluzione caustica) vanno sempre pesati e con una bilancia elettronica che rilevi le differenze al grammo.
5) Modificare i grassi o le loro dosi in una ricetta senza aver capito come funziona il sistema per calcolare il dosaggio degli alcali. Esiste un rapporto matematico tra il peso, la quantità di un grasso e la dose di soda o potassio. Se questo rapporto salta, la ricetta non funziona più.
6) Disperarsi perché un sapone, che è nello stampo da sole 24 ore, è molle, ha degli aloni di colore diverso, ha delle macchiette, è umidiccio, ha delle bollicine sulla superficie. Tutto questo è del tutto normale! E buona parte di questi piccoli difetti estetici spariranno non appena avrete dato al sapone il tempo di stagionare. Gli unici, veri, gravi errori nel sapone si fanno quando si sbagliano le dosi degli ingredienti fondamentali (grassi, soda, liquido).
7) Mettere nel sapone qualsiasi ingrediente venga in mente senza prima chiedersi quali saranno le sue funzioni, come potrebbe interagire con la reazione chimica di saponificazione, quale potrebbe essere la sua resa. Ok alla sperimentazione, ma con buonsenso! Se non avete mai sentito parlare dell’uso di un certo ingrediente nel sapone, magari è perché semplicemente non si può usare o non avrebbe senso farlo.
8) Partire a far sapone dalle tecniche più complicate. Magari siete bravissimi e vi sentite lanciatissimi, ma un po’ di pratica con i metodi e le ricette semplici è necessaria prima di fare i passi successivi. Cominciare dal difficile vuol dire solo rischio di scoraggiarsi, frustrazione e magari materiale sprecato inutilmente.
9) Buttarsi ad acquistare gli ingredienti più disparati senza prima aver capito se funzionano nel sapone, se sapete gestirne le reazioni nella saponificazione, che cosa apporteranno di diverso. Aggiungere un ingrediente “perché è bella l’idea di mettercelo” è un’ottima motivazione, sia chiaro. Ma ci sono ingredienti che potrebbero proprio deludervi (vedere punto 7) ed è meglio porsi il problema prima di sbagliare.
10) Pensare di aver imparato tutto. La saponificazione è una reazione chimica elementare eppure complessa. Le variabili in gioco sono tantissime e fare sapone è un infinito processo di apprendimento, che si arricchisce ogni giorno di nuove scoperte. Potete pensare, a un certo punto, di averne capito abbastanza per le vostre esigenze o le vostre ambizioni. E questo va benissimo. Basta che lasciate sempre una porta aperta alla possibilità di sorprendervi ancora.
Ricordatevi inoltre di scegliere un momento tranquillo per fare il sapone. Non mettetevi a trafficare con soluzioni caustiche e oli essenziali quando la casa è piena di gente, siete certi che qualcosa o qualcuno vi interromperà, ci sono bambini, cani o gatti curiosi che girano o avete la testa immersa in qualche altra questione.
Perché non si può fare il sapone con la sola cenere
Fare sapone utilizzando la sola liscivia di cenere non è possibile. E c’è una spiegazione per precisa per questo.
La sostanza caustica che si estrae macerando o bollendo in acqua la cenere di legna è il carbonato di potassio (K2CO3) o potassa. Di per sé sarebbe una sostanza di colore bianco, ma nella liscivia è combinato con tracce di ferro, manganese e altri minerali che la rendono giallastra, verdognola o brunastra. La potassa è un alcale, quindi caustica e corrosiva. A differenza della soda caustica (NaOH) e dell’idrossido di potassio (KOH) però è molto meno efficiente nella saponificazione dei grassi e molto più difficile da dosare.
Dal carbonato di potassio disciolto nella liscivia si potrebbe ottenere soltanto KOH (non soda caustica, NaOH), ma solo attraverso un processo di caustificazione, cioè facendolo reagire con idrato di calcio (la calce viva). E vi lascio immaginare che cosa vorrebbe dire mettersi a fare un’operazione simile in casa. Senza per altro avere gli strumenti per misurare la purezza del KOH che si estrae e quindi non sapendo poi come determinarne il dosaggio necessario per saponificare i grassi.
E anche ammesso che ci fosse qualcuno così incosciente da provarci – sono tutti materiali caustici, corrosivi e pericolosi – l’alcale che otterreste sarebbe comunque idrossido di potassio, quello che produce una pasta gelatinosa che è la base dei saponi liquidi descritti nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”.
La conclusione di questo discorso è molto semplice: chiunque vi racconta che si può fare sapone solido con la sola liscivia di cenere o non ha capito nulla dei processi di saponificazione o vi sta prendendo in giro. Comunque, se vi interessa l’argomento potete dare un’occhiata alla discussione che abbiamo raccolto nel nostro gruppo Il Mio Sapone, su Facebook. Soprattutto è utile per leggere le testimonianze sui “disastri” che hanno combinato quelli che, in buona fede, ci hanno creduto e hanno provato a farlo.
Domande frequenti: voglio fare sapone, da dove comincio?
Studiare, provare, sbagliare sono i tre verbi che ogni aspirante saponaio dovrebbe tenere a mente. E queste tre parole sono anche la risposta che mi sento di dare a una delle domande più frequenti che ricevo: voglio imparare a fare sapone, da dove comincio?
Comincia dallo studio. La saponificazione è un processo chimico semplice, ma ha le sue regole e le sue esigenze. Buttarsi a far sapone senza averci capito nulla di quanto avviene quando una miscela caustica viene aggiunta a dei grassi non solo è pericoloso, ma può portare a una serie infinita di pasticci. Studiare vuol dire lavorare in sicurezza, perché una delle prime cose da imparare perfettamente, è come ci si protegge dalla soda caustica. Ma vuol anche dire raggiungere risultati buoni da subito, senza perdite di tempo, sprechi e attacchi di ansia. Che cosa serve per studiare? Una fonte affidabile. Che sia un corso, un libro, un sito, un tutorial… ognuno scelga la fonte che preferisce, ma attenzione alla qualità di quello che vi viene offerto. A pescare a caso in internet si rischia di tirar su non solo, come si dice a Roma, delle “sole”, ma persino di farsi male.
Il secondo passo è prova! Quando uno si è fatto un’idea del processo più facile (il metodo a freddo di base), quando ha capito bene come ci si comporta con la soda caustica e si sente pronto al grande passo, non ha che da scegliere una ricetta molto facile e provare. La mia super-classica 100% oliva è un ottimo punto di partenza. E’ facilissima e basta poco per mettere insieme gli ingredienti: 1 kg di olio di oliva (evo, non-evo, sansa, tutti i tipi vanno bene…), 128 grammi di soda caustica, 300 grammi di acqua.
Il terzo passo è sbaglia! Non c’è niente di più utile degli errori per capire e perfezionarsi. L’ansia da prestazione è deleteria sempre, anche quando si fa sapone. Imparare richiede tempo, richiede pazienza con se stessi e la capacità di non farsi prendere dal panico o dallo sconforto se qualcosa non è andato per il verso giusto. Tra parentesi, studiare aiuta anche in questo caso. Perché si capisce quale può essere il risultato e non si rischia di partire con aspettative che non corrispondono alla realtà delle cose. Sbagliare porta a volersi confrontare con altri, a farsi delle domande. E allora, benvenuti a condividere i vostri dubbi di sapone sulla nostra mailing o sul nostro gruppo Facebook o su questo blog.
Oli nel sapone: parliamo di resa più che di proprietà
Spesso si fa confusione tra quelle che sono le “proprietà” degli oli e la loro “resa” nel sapone. Quando nel nostro libro, per esempio, elenchiamo gli oli e le loro proprietà, ci riferiamo alle caratteristiche intrinseche di quell’ingrediente nel momento in cui viene utilizzato puro e tal quale.
La saponificazione è un processo chimico che muta del tutto la natura dei materiali che la innescano: gli acidi grassi e l’idrossido di sodio o di potassio diventano un sale inerte la cui qualità e “proprietà” si misura con parametri diversi rispetto a quella degli ingredienti che si sono usati per produrlo. Se per gli oli e per le preparazioni cosmetiche che li utilizzano senza trasformarli, si parla di “proprietà”, per il sapone è più appropriato parlare di “resa”.
E la resa (consistenza, schiumosità, detergenza) è data dal tipo di acidi grassi che sono contenuti negli oli e che vengono saponificati. Anche se le materie grasse in natura sono tantissime, gli acidi grassi che le compongono, in realtà, sono sempre gli stessi. Gira e rigira, l’olio di oliva o l’olio di Camelia subtropicale hanno alla fine il medesimo “corredo chimico”, dato da una combinazione variabile di acido oleico, miristico, stearico, palmitico, ricinoleico, linoleico, linolenico e laurico in quantità differenti. Ora, se alcuni acidi grassi (tipo il laurico contenuto nel grasso di cocco) hanno una resa tipica e ricorrente (laurico = schiuma; stearico = sapone duro), altri come l’oleico, che si trova in percentuali variabili in *tutti* i grassi esistenti, hanno nel sapone rese molto meno specifiche e sicuramente *non* cosmetiche.
Questo è un discorso che va tenuto presente anche quando si decide di utilizzare oleoliti nel sapone, cioè quei grassi nei quali, con una delle tante tecniche conosciute, sono state fatte macerare erbe e piante officinali oppure spezie.
Quali sono le funzioni di un oleolito nel sapone? In alcuni casi (pochi) quello di dare colore. Alloro e calendula sono esempi di oleoliti che hanno questa funzione. Nella maggioranza dei casi invece, a seconda dello sconto della soda, l’aggiunta di un oleolito aumenta la percentuale di grasso libero e quindi diminuisce l’aggressività di un sapone. Gli oleoliti *non* trasmettono al sapone le proprietà attive della specie botanica con cui sono fatti. Perché il sapone non ha proprietà cosmetiche di alcun tipo, se non quella di detergere. Quello che conta, ai fini della resa nella saponificazione, è piuttosto il tipo di olio con cui l’oleolito è stato prodotto: se è in olio polinsaturo il sapone sarà più molle, se in olio monoinsaturo (oliva) sarà meno schiumoso e così via.
Libro: I tuoi saponi naturali 77 ricette – errata corrige Prima edizione
Certo che i nostri libri li “assaporate” proprio con grande attenzione! Ed è un privilegio avere dei lettori attenti, perché solo così ci si può accorgere se qualcosa è andato storto e rimediare. Grazie alle vostre segnalazioni, abbiamo messo insieme una errata corrige per alcune sviste che sono scappate, purtroppo, ai vari controlli pre-stampa del nostro ricettario I tuoi saponi naturali – e sì che i testi sono stati riguardati da ben quattro paia di occhi!!
Ok, accorgersi dei refusi quando una pubblicazione è uscita, non è mai piacevole. Ma se questo ci dà l’opportunità di toccare con mano la sollecitudine e la stima dei nostri lettori, wow, allora possiamo dire che davvero tutto ha un senso! Grazie!
Scaricate qui il file PDF con le correzioni alla prima edizione [40 KB]:
EC: I tuoi saponi naturali, 77 ricette – edizione finita di stampare in febbraio 2014
(Questa errata corrige vale solo per la prima edizione!)
Ossidazione dei grassi saturi e insaturi
Uno dei problemi cui il sapone può andare incontro è l’ossidazione. L’ossigeno si combina con le tracce di grasso libero sulla superficie della saponetta e questo provoca macchie e il tipico odore di rancido. Dire che un sapone è ossidato o dire che è rancido, è la stessa cosa.
Un sapone non diventa rancido dall’oggi al domani. L’ossidazione è un processo che richiede il suo tempo e che dipende, in parte, dal tipo di grassi che sono stati usati nella ricetta. Ci sono anche altri fattori che giocano un ruolo nell’eventualità che un sapone ossidi e nella velocità con cui questo accade. Ma di questo farò cenno alla fine del post.
Una discriminante per capire quali grassi favoriscono l’ossidazione è cominciare a separare i saturi (quelli solidi a temperatura ambiente), dai liquidi e guardare un pochino dentro la loro struttura molecolare.
Se i grassi saturi (palma, cocco, karitè, strutto, etc) hanno un tempo di ossidazione pari a 1, i grassi monoinsaturi (esempio oliva, mandorle) ce l’hanno 5 volte superiore, i grassi polinsaturi del gruppo omega-6 con doppio legame C=C (girasole, cartamo, soja, mais, arachidi) ce l’hanno 50 volte superiore e i grassi del gruppo omega-3 con triplo legame C≡C (lino, colza, enotera, canapa) ce l’hanno 100 volte superiore. Che cosa sono i legami C=C doppi o tripli? Sono la “struttura” che tiene insieme gli atomi di carbonio nella catena atomica di ciascun trigliceride (acido grasso). Più questa struttura è ramificata con doppi e tripli legami, più la catena ha facilità a spezzarsi quando viene “sollecitata” dall’azione dell’ossigeno. Ogni volta che la catena si spezza e reagisce con l’ossigeno, inizia quel processo degenerativo, detto ossidazione, che fa irrancidire il sapone.
Questo è il motivo per cui, in tutti i testi sul sapone, trovate sempre indicato che i grassi moninsaturi (tra cui l’oliva) stanno tra quelli detti “di base” dei quali si possono usare anche grosse quantità nelle ricette, mentre gli altri (soprattutto i polinsaturi con triplo legame) sono classificati come “nutrienti” e ne vengono raccomandati dosaggi minimi. Questo è anche uno dei motivi per cui si consiglia di bilanciare una ricetta con grassi saturi-insaturi.
Più è alta in una ricetta la percentuale di un grasso polinsaturo con triplo legame (per esempio l’olio di colza) più è maggiore la possibilità che quel sapone si ossidi, cioè diventi rancido. Più è alta la quantità di grassi saturi o moninsaturi (tipo strutto, palma, cocco + oliva) meno è facile che il sapone si ossidi. Se voglio fare un sapone con sconto soda alto quindi eviterò il più possibile i grassi polinsaturi a doppio e triplo legame o ne metterò davvero quantità minime.
Come dicevo all’inizio, le variabili che possono far irrancidire un sapone sono diverse e la composizione dei grassi della ricetta è soltanto una di queste. Altri fattori cui prestare attenzione sono gli sconti della soda (più lo sconto è alto, più alto è il rischio ossidazione), la presenza di liquidi in eccesso nel sapone, il fatto che il sapone venga conservato in luoghi umidi, caldi e poco ventilati, la presenza di particolari ioni metallici nell’acqua utilizzata per la soluzione caustica, l’uso di ingredienti “umidi” (fiori freschi, fondi di caffè, frutta).