La fase del gel: che cos’è, a che cosa serve

Un sapone durante la fase del gel

Un sapone durante la fase del gel

La cosiddetta fase del gel è un momento nel processo di saponificazione che avviene quando la pasta di sapone è stata versata negli stampi e coperta. Durante questa fase la temperatura della pasta di sapone aumenta e il calore si diffonde a partire dal centro della forma verso i bordi. La pasta prende un colore più scuro e, da opaca che era, assume un aspetto “gloss” lucido con una consistenza, appunto, simile al gel.

A seconda dei grassi utilizzati e delle temperature di lavorazione, la fase del gel può avvenire nel giro di mezz’ora dal momento in cui il sapone è stato versato nella forma oppure presentarsi dopo diverse ore. In alcuni casi il gel procede molto velocemente dal centro verso i bordi e, in poche decine di minuti, tutta la pasta diventa traslucida e calda. In altri casi il gel avviene più in “profondità” nella massa di sapone e sulla superficie si può osservare soltanto una macchia di colore leggermente più scura. Di solito, questa differenza di colore tra il centro e i bordi degli stampi è il segno dell’avvenuta fase del gel che si può vedere quando si scopre il sapone dopo 24 ore.

Durante la fase del gel la soda caustica reagisce con gli acidi grassi contenuti negli oli e sparisce, trasformandosi in sapone. Questo significa che i saponi andati in gel sono “neutralizzati” nel momento in cui si raffreddano e si solidificano anche se la stagionatura continua a svolgere un ruolo importante.

I metodi in cui si lavora a temperature bassissime (per esempio per i whipped soaps) e nei quali si raffredda la pasta di sapone per evitare che vada in gel, richiedono dunque tempi di stagionatura più lunghi per consentire la neutralizzazione della soda caustica che non è avvenuta nelle prime ventiquattro ore.

Esistono poi fattori che possono bloccare la fase del gel perché favoriscono la dispersione del calore naturale sviluppato dalla reazione tra grassi e soda. Se il gel non si forma può dipendere dall’uso di stampini troppo piccoli che non trattengono a sufficienza il calore, da una insufficiente copertura delle forme, dalla preparazione di lotti troppo piccoli (inferiori ai 500 g), dal fatto che faccia molto freddo nel locale dove il sapone viene lasciato riposare.

Al contrario esistono ingredienti o situazioni che innescano fasi del gel molto calde e diffuse: l’uso di quantità di olio di cocco superiori al 30%, la presenza di olio di riso o di jojoba, la presenza di latte o miele, certe fragranze cosmetiche, l’uso di stampi alti e stretti che intrappolano il calore, coperture troppo pesanti, temperature di lavorazione molto alte (come nel metodo tutto a freddo), soluzione caustica molto concentrata (come nel metodo ad acqua ridotta), ambienti molto caldi (perché è estate o perché la pasta di sapone viene tenuta vicino a una fonte di calore).

Se il gel è davvero troppo “deciso”, il sapone può gonfiarsi e traboccare dallo stampo nel cosiddetto “effetto vulcano”. Tutte le fasi della saponificazione, le reazioni degli ingredienti e i metodi sono descritti nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”.

Perché il sapone deve stagionare?

Quando Marina ed io cominciammo ad occuparci di sapone naturale fatto in casa, oltre quindici anni fa, si pensava che la stagionatura dei saponi a freddo fosse indispensabile per consentire la totale neutralizzazione della soda caustica.

Il sapone va lasciato riposare, coperto, per 24 oreDa quel momento di sperimentazioni ne sono state fatte molte e tutti siamo ormai arrivati alla medesima conclusione: se un sapone a freddo attraversa la fase del gel, la soda caustica si neutralizza completamente e sparisce nell’arco delle prime ventiquattro ore dal momento in cui la pasta di sapone è stata versata nello stampo. Questo però non significa necessariamente che, nel momento in cui viene tolto dalle forme, un sapone a freddo o a caldo sia pronto per essere usato.

La stagionatura è un periodo importante per la maturazione del sapone. Non perché debba “perdere soda caustica” – quella la perde subito, lo abbiamo detto – ma perché i cristalli del sale che lo compongono abbiano il tempo di “assestarsi” e le tracce di acqua che contiene possano evaporare.

Un sapone che è stato lasciato riposare per le canoniche 4 settimane – ma anche di più – avrà dunque una consistenza migliore, una schiuma più abbondante e una resa superiore. I saponi usati subito – in particolar modo quelli a freddo, ma anche quelli a caldo – tendono a fare poca schiuma, ad essere appiccicosi e bavosi, a consumarsi alla velocità della luce.

Al contrario, se si pensa di rilavorare un sapone per farne gel da bucato o perché si vuole recuperare qualche errore commesso, è meglio farlo entro le prime 48 ore quando è ancora molto morbido e plastico. Il risultato del rilavorato sarà migliore di quello ottenuto con saponi già molto stagionati o secchi.

Per saperne di più sulla saponificazione, sui metodi a freddo o caldo, sui rilavorati, vi indirizziamo al nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici“.

Domande frequenti: metodo a freddo di base o metodo tutto a freddo?

Il metodo tutto a freddo (No Heat applied Cold Process o NHCP) può essere considerata una variante del metodo a freddo di base (Cold Process, CP) la quale sta vivendo una fase di popolarità in questi ultimissimi anni. Ma i due metodi non sono semplicemente uno l’alternativa dell’altro e la scelta tra i due dovrebbe avvenire alla luce di alcune considerazioni.

Controllo della temperatura della soluzione caustica

Controllo della temperatura della soluzione caustica

Nel metodo a freddo di base i grassi e la soluzione caustica vengono portati a una temperatura che può oscillare tra i 38 e i 45°. I grassi vengono scaldati (nonostante si parli di “metodo a freddo”), mentre la soluzione caustica viene fatta raffreddare e il saponaio, con un termometro, tiene sotto controllo le temperature nei vari passaggi del processo. Questo controllo delle temperature è proprio la caratteristica principale del metodo a freddo di base ed è quella che, a mio avviso, la rende più adatta ai principianti. La possibilità di avere il controllo della reazione è un elemento che dà tranquillità e sicurezza quando si è ai primi esperimenti, quando il cuore batte forte, magari le mani tremano un po’ e non si ha ancora la più pallida idea di che cosa succederà nella pentola del sapone.

Nel metodo tutto a freddo la soluzione caustica viene preparata, lasciata decantare per qualche minuto e quindi versata bollente nei grassi che invece sono – o dovrebbero essere – a temperatura ambiente. Questo metodo non prevede alcun controllo delle temperature e non è compreso l’uso del termometro. Ma usare una soluzione caustica a 70-80° senza avere la minima esperienza delle reazioni degli ingredienti potrebbe non essere la strada giusta per chi il sapone non l’ha mai fatto. Temperature così alte in combinazione con determinati ingredienti (per esempio miele, latte ma anche certe fragranze o certi oli come il riso e il cocco) possono portare al surriscaldamento della pasta di sapone con effetti che vanno dall’ammassamento, alla separazione fino al cosiddetto “vulcano”. Si definisce “vulcano” il momento in cui la pasta di sapone è talmente calda che gonfia e trabocca dagli stampi. Questo significa che il metodo tutto a freddo non è per niente più “facile” o più “immediato” di quello a freddo di base, proprio perché richiede al saponaio un’esperienza maggiore, la capacità di lavorare velocemente senza tergiversare e la prontezza per intervenire se si capisce che qualcosa sta andando storto. Per questi motivi, considero il metodo tutto a freddo un ottimo sistema per i saponi da bucato nei quali di solito non è prevista la presenza di ingredienti surriscaldanti o per tutte quelle ricette fatte da saponai che hanno già acquisito un po’ di dimestichezza con la saponificazione e sanno gestirla senza farsi prendere dal panico.

Le varianti del metodo a freddo e tutte le varianti dei metodi a caldo sono descritte, passo dopo passo, nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”.

Aiuto! Il sapone non è venuto come me l’aspettavo!

Se il sapone non ha l’aspetto o la consistenza che vi aspettavate, prima di farvi prendere dal panico o di pensare a come riciclarlo, seguite questa semplice check-list che trovate, con maggiori dettagli, nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici“.

Tirate fuori la ricetta e gli appunti che avete preso durante la preparazione (perché li avete presi veroooo? ) e procedere con questi passaggi:

1. Controllate di aver misurato le quantità giuste dei vari ingredienti (oli, alcali, acqua o altri solventi, additivi) senza sostituzioni o modifiche rispetto alla ricetta che avete seguito.

2. Verificate che la quantità totale degli oli sia almeno di un chilo. Ricordate che lotti più piccoli tendono a essere sempre meno stabili e più proni a provocare “sorprese”, soprattutto se avete ancora poca esperienza per gestirli.

3. Usate un foglio calcolatore come il SapCalc che trovate nel nostro sito per ricontrollare il calcolo dell’idrossido di sodio o di potassio in base alla quantità dei grassi. Verificate la purezza degli alcali che avete usato. Se erano umidi, ammassati o molto “stagionati” potrebbero aver perso parte della loro efficacia.

4. Verificate l’accuratezza della bilancia. Quand’è che avete cambiato le pile? L’avete sistemata in piano prima di pesare? Vi siete ricordati di annullare la tara dei contenitori?

5. Cercate di ricostruire le fasi di preparazione: avete lasciato fuori qualcosa? Avete esagerato con il dosaggio di un additivo? Avete deciso all’ultimo minuto di sostituire un grasso senza riconteggiare la soda? Avete usato un ingrediente nuovo, mai sperimentato prima?

6. Com’erano le condizioni ambientali: troppo caldo, troppo freddo? Com’erano le temperature di grassi e soluzione caustica? Avete coperto bene il sapone quando l’avete versato negli stampi (metodo a freddo)? Avete cotto la pasta di sapone abbastanza a lungo (metodi a caldo)? Quale sistema di cottura avete utilizzato?

Se la ricognizione è completata e non avete rilevato nulla di particolare, ma il sapone continua a sembrarvi “strano”, non fatevi prendere dall’ansia o dallo sconforto. Perché, molto semplicemente, nel vostro sapone non c’è proprio nulla che non va, ma state semplicemente assistendo a un fenomeno che contraddistingue tutti i saponi fatti a mano: la loro unicità!

Perché il mio sapone è sempre gelatinoso? E come posso evitarlo?

Un’altra domanda frequente, tornata a galla proprio di recente su sapone, mailing list dei saponai che parlano italiano.

In risposta, c’è chi punta il dito sugli errori nella formulazione della ricetta; chi invece raccomanda soluzioni di ispirazione industriale, che prevedono l’aggiunta di ingredienti speciali.

Ma anche qui, la risposta dipende innanzitutto dai motivi che ci hanno portato a far sapone. E vale sempre la pena di fermarsi a chiedersi perché lo facciamo.

Per me, far sapone è, nello stesso tempo, ricerca di un sano benessere e un modo per rendermi indipendente dalle “logiche di mercato” – espressione che detesto, ma che esprime bene e in sintesi la catena di interessi, strategie ed eventi che ha portato alla globalizzazione, alla crisi economica, ai nuovi schiavi e a tutte le malattie economiche (e, di riflesso, sociali) che ci affliggono.

In altre parole, la mia scelta di far sapone parte dal desiderio di una vita più sana in tutti i sensi, a 360 gradi -non soltanto per me, ma per “il mondo” nella sua interezza.

Per questo, non mi basta scegliere una ricetta qualunque, trovata non importa dove, né seguire le mode che dilagano sui media (social e non).

Per questo, la mia scelta di far sapone implica, a monte, scelte etiche sui singoli ingredienti e persino sui metodi che seguo. Scelte molto più facili di quanto non sembrino, perché stanno alla base del mio desiderio di far sapone e lo “formano”… automaticamente 🙂

Nello specifico, anche il metodo che seguo per avere saponi sempre di buona consistenza è molto semplice: basta infatti seguire buone pratiche di preparazione e rispettare i tempi di stagionatura e di asciugatura. Suggerimenti che si trovano, ampiamente documentati, nel manuale scritto a quattro mani con Patrizia, Il tuo sapone naturale.

In sintesi, poiché i miei saponi hanno sempre almeno l’85% di olio di oliva:

  1. Uso generalmente il metodo ad acqua ridotta.
  2. Mi assicuro che le temperature di miscela siano tali da garantire una buona “fase del gel”.
  3. Lascio stagionare il sapone almeno 8 settimane prima dell’uso. E se invece di 8 settimane aspetto 6 mesi o anche un anno… lo trovo sempre migliore: più delicato, più ricco di schiuma, meno bavoso!
  4. Tengo a portata di mano due o tre pezzi di sapone per volta, appoggiati su portasaponi “a istrice”, e li lascio asciugare completamente tra una lavata di mani e l’altra.

Tutto qui, senza bisogno di arrovellarsi per trovare ingredienti speciali o formule garantite da calcoli “scientifici”.

Provare per credere! 🙂

Liscivia, sappiamo di che cosa stiamo parlando?

“Liscivia” è uno di quei termini che, un linguista, definirebbe polisemici. Parole che hanno cioè significati diversi. Per questo il vocabolo viene spesso usato per indicare cose che, in realtà sono diverse dal punto di vista chimico, anche se accomunate dalla funzione detergente/pulente.

Liscivia è un termine desueto per le soluzioni caustiche di idrossido di sodio o idrossido di potassio in acqua (quelle che usiamo per il sapone). Liscivia può essere il prodotto più o meno concentrato della macerazione della cenere di legna in acqua. Liscivia è il nome popolare di detergenti che si usavano una volta a base di sapone, perborato, carbonato di sodio. Liscivia può genericamente indicare una soluzione detergente/alcalina non meglio definita.

Ogni volta che usiamo o leggiamo questa parola, dovremmo chiederci qual è il contesto in cui si presenta e, soprattutto, cercare di capire se stiamo tutti parlando della medesima cosa.

In questo post vi spiego invece perché il sapone con la liscivia di cenere non si può fare.

Sapone: le dieci cose da non fare

1) Cominciare a far sapone senza aver capito nulla della saponificazione, delle reazioni degli ingredienti e delle loro funzioni. Un minimo di studio preventivo è necessario per evitare disastri e frustrazione.

2) Cominciare a far sapone senza avere imparato perfettamente come si maneggiano gli alcali (soda caustica o idrossido di potassio) in sicurezza.

3) Versare l’acqua sulla soda o sul potassio. Si fa sempre e solo il contrario! Per precauzione, è meglio anche versare la soluzione caustica nei grassi e non viceversa.

4) Usare misure di volume (litri, millilitri etc) anziché le misure di peso (grammi, kilogrammi).  Gli ingredienti fondamentali del sapone (grassi, alcali, liquido per la soluzione caustica) vanno sempre pesati e con una bilancia elettronica che rilevi le differenze al grammo.

5) Modificare i grassi o le loro dosi in una ricetta senza aver capito come funziona il sistema per calcolare il dosaggio degli alcali. Esiste un rapporto matematico tra il peso, la quantità di un grasso e la dose di soda o potassio. Se questo rapporto salta, la ricetta non funziona più.

6) Disperarsi perché un sapone, che è nello stampo da sole 24 ore, è molle, ha degli aloni di colore diverso, ha delle macchiette, è umidiccio, ha delle bollicine sulla superficie. Tutto questo è del tutto normale! E buona parte di questi piccoli difetti estetici spariranno non appena avrete dato al sapone il tempo di stagionare. Gli unici, veri, gravi errori nel sapone si fanno quando si sbagliano le dosi degli ingredienti fondamentali (grassi, soda, liquido).

7) Mettere nel sapone qualsiasi ingrediente venga in mente senza prima chiedersi quali saranno le sue funzioni, come potrebbe interagire con la reazione chimica di saponificazione, quale potrebbe essere la sua resa. Ok alla sperimentazione, ma con buonsenso! Se non avete mai sentito parlare dell’uso di un certo ingrediente nel sapone, magari è perché semplicemente non si può usare o non avrebbe senso farlo.

8) Partire a far sapone dalle tecniche più complicate. Magari siete bravissimi e vi sentite lanciatissimi, ma un po’ di pratica con i metodi e le ricette semplici è necessaria prima di fare i passi successivi. Cominciare dal difficile vuol dire solo rischio di scoraggiarsi, frustrazione e magari materiale sprecato inutilmente.

9) Buttarsi ad acquistare gli ingredienti più disparati senza prima aver capito se funzionano nel sapone, se sapete gestirne le reazioni nella saponificazione, che cosa apporteranno di diverso. Aggiungere un ingrediente “perché è bella l’idea di mettercelo” è un’ottima motivazione, sia chiaro. Ma ci sono ingredienti che potrebbero proprio deludervi (vedere punto 7) ed è meglio porsi il problema prima di sbagliare.

10) Pensare di aver imparato tutto. La saponificazione è una reazione chimica elementare eppure complessa. Le variabili in gioco sono tantissime e fare sapone è un infinito processo di apprendimento, che si arricchisce ogni giorno di nuove scoperte. Potete pensare, a un certo punto, di averne capito abbastanza per le vostre esigenze o le vostre ambizioni. E questo va benissimo. Basta che lasciate sempre una porta aperta alla possibilità di sorprendervi ancora.

Ricordatevi inoltre di scegliere un momento tranquillo per fare il sapone. Non mettetevi a trafficare con soluzioni caustiche e oli essenziali quando la casa è piena di gente, siete certi che qualcosa o qualcuno vi interromperà, ci sono bambini, cani o gatti curiosi che girano o avete la testa immersa in qualche altra questione.

Perché non si può fare il sapone con la sola cenere

Fare sapone utilizzando la sola liscivia di cenere non è possibile. E c’è una spiegazione per precisa per questo.

La sostanza caustica che si estrae macerando o bollendo in acqua la cenere di legna è il carbonato di potassio (K2CO3) o potassa. Di per sé sarebbe una sostanza di colore bianco, ma nella liscivia è combinato con tracce di ferro, manganese e altri minerali che la rendono giallastra, verdognola o brunastra. La potassa è un alcale, quindi caustica e corrosiva. A differenza della soda caustica (NaOH) e dell’idrossido di potassio (KOH) però è molto meno efficiente nella saponificazione dei grassi e molto più difficile da dosare.

Dal carbonato di potassio disciolto nella liscivia si potrebbe ottenere soltanto KOH (non soda caustica, NaOH), ma solo attraverso un processo di caustificazione, cioè facendolo reagire con idrato di calcio (la calce viva). E vi lascio immaginare che cosa vorrebbe dire mettersi a fare un’operazione simile in casa. Senza per altro avere gli strumenti per misurare la purezza del KOH che si estrae e quindi non sapendo poi come determinarne il dosaggio necessario per saponificare i grassi.

E anche ammesso che ci fosse qualcuno così incosciente da provarci – sono tutti materiali caustici, corrosivi e pericolosi – l’alcale che otterreste sarebbe comunque idrossido di potassio, quello che produce una pasta gelatinosa che è la base dei saponi liquidi descritti nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”.

La conclusione di questo discorso è molto semplice: chiunque vi racconta che si può fare sapone solido con la sola liscivia di cenere o non ha capito nulla dei processi di saponificazione o vi sta prendendo in giro. Comunque, se vi interessa l’argomento potete dare un’occhiata alla discussione che abbiamo raccolto nel nostro gruppo Il Mio Sapone, su Facebook. Soprattutto è utile per leggere le testimonianze sui “disastri” che hanno combinato quelli che, in buona fede, ci hanno creduto e hanno provato a farlo.

Domande frequenti: voglio fare sapone, da dove comincio?

Studiare, provare, sbagliare sono i tre verbi che ogni aspirante saponaio dovrebbe tenere a mente. E queste tre parole sono anche la risposta che mi sento di dare a una delle domande più frequenti che ricevo: voglio imparare a fare sapone, da dove comincio?

Comincia dallo studio. La saponificazione è un processo chimico semplice, ma ha le sue regole e le sue esigenze. Buttarsi a far sapone senza averci capito nulla di quanto avviene quando una miscela caustica viene aggiunta a dei grassi non solo è pericoloso, ma può portare a una serie infinita di pasticci. Studiare vuol dire lavorare in sicurezza, perché una delle prime cose da imparare perfettamente, è come ci si protegge dalla soda caustica. Ma vuol anche dire raggiungere risultati buoni da subito, senza perdite di tempo, sprechi e attacchi di ansia. Che cosa serve per studiare? Una fonte affidabile. Che sia un corso, un libro, un sito, un tutorial… ognuno scelga la fonte che preferisce, ma attenzione alla qualità di quello che vi viene offerto. A pescare a caso in internet si rischia di tirar su non solo, come si dice a Roma, delle “sole”, ma persino di farsi male.

Il secondo passo è prova! Quando uno si è fatto un’idea del processo più facile (il metodo a freddo di base), quando ha capito bene come ci si comporta con la soda caustica e si sente pronto al grande passo, non ha che da scegliere una ricetta molto facile e provare. La mia super-classica 100% oliva è un ottimo punto di partenza. E’ facilissima e basta poco per mettere insieme gli ingredienti: 1 kg di olio di oliva (evo, non-evo, sansa, tutti i tipi vanno bene…), 128 grammi di soda caustica, 300 grammi di acqua.

Il terzo passo è sbaglia! Non c’è niente di più utile degli errori per capire e perfezionarsi. L’ansia da prestazione è deleteria sempre, anche quando si fa sapone. Imparare richiede tempo, richiede pazienza con se stessi e la capacità di non farsi prendere dal panico o dallo sconforto se qualcosa non è andato per il verso giusto. Tra parentesi, studiare aiuta anche in questo caso. Perché si capisce quale può essere il risultato e non si rischia di partire con aspettative che non corrispondono alla realtà delle cose. Sbagliare porta a volersi confrontare con altri, a farsi delle domande. E allora, benvenuti a condividere i vostri dubbi di sapone sulla nostra mailing o sul nostro gruppo Facebook o su questo blog.