Stampi per sapone: una guida completa per sceglierli

stampi per saponeScegliere lo stampo giusto per il sapone non è soltanto una questione di estetica. Le forme posso influire sul risultato finale anche per quanto riguarda la texture e la qualità di una saponetta.

Stampi troppo piccoli, troppo grandi o di materiale non adatto possono infatti interferire con le temperature della saponificazione e produrre, per esempio, saponi che tendono a sbriciolarsi durante il taglio oppure che hanno difetti nella colorazione o che non sono andati in gel. E tutti i saponai sanno quanto è importante che la loro “creatura” attraversi la fase del gel, vero?

Per facilitare la scelta dello stampo giusto abbiamo realizzato una tabella-guida dove elenchiamo e spieghiamo i pro e i contro delle diverse soluzioni.

Se avete bisogno di capire quanto sapone ci può stare in un certo stampo, vi farà comodo consultare le istruzioni per calcolare il volume del sapone pubblicate da Marina.

 

Acidi grassi: nomi e funzioni nel sapone autoprodotto

olio di vinaccioliGli acidi grassi sono i mattoncini fondamentali di tutti gli oli e i grassi che si trovano in natura. Si tratta di molecole dalla forma allungata nelle quali le catene di atomi di carbonio – di solito tre visto che si parla di trigliceridi, sono legate in un’unica struttura da una molecola di glicerolo.

Gli acidi grassi sono circa un centinaio, ma quelli che interessano nell’autoproduzione di sapone sono più o meno una quindicina e si trovano negli oli e nei grassi più comuni. Sapere la quantità di acidi grassi contenuta nella materia prima del sapone e capire la loro resa nel prodotto finito, è un elemento importante per avere un’idea di come i grassi vadano scelti e combinati.

Ma non tutto è così semplice come sembra. Come spieghiamo nei capitoli 3 e 19 del nostro nuovo manuale Il sapone fatto in casa For Dummies il contenuto di acidi grassi di ciascun olio può variare moltissimo a seconda della provenienza, delle annate se si tratta di oli vegetali e persino dei sistemi di estrazione. Questa complessità mette molto in crisi le pretese di “scientificità” nella produzione casalinga del sapone, ma è sicuramente un’informazione importante per tutti i saponai che vogliono capire meglio che cosa succede nel loro pentolone quando la reazione di saponificazione è stata messa in moto.

Tra i contenuti extra che è possibile scaricare dal sito del libro abbiamo incluso una tabella in cui abbiamo elencato gli acidi grassi saturi, insaturi e polinsaturi a seconda delle loro funzioni nel sapone. Datele un’occhiata perché potreste scoprire parecchie sorprese! La realtà è sempre molto, ma molto più complessa di quanto si potrebbe pensare.

Sapone con la farina: perché non bisogna farlo

Questo post vi spiega come non dovete fare il sapone. E lo fa partendo da una ricetta che gira su Internet da tempo e che è non solo sbagliata dal punto di vista del dosaggio degli ingredienti, ma potenzialmente pericolosa.

Si tratta del famigerato sapone di olio d’oliva – o di olio esausto – con aggiunta di farina. L’ultima volta che ho sentito parlare di questo “orrore” è stato di recente sul nostro gruppo Il Mio Sapone su Facebook ed è allora che ho deciso di fare da cavia e di provare su me stessa il suo effetto. La ricetta che ho seguito è una delle tante versioni del sapo-mostro che girano in Rete. Non vi darò il dosaggio degli ingredienti perché non voglio che proviate a riprodurlo, ma posso soltanto dirvi che la formula prevede una quantità di acqua dieci volte superiore a quella che si userebbe per un normale sapone a freddo e, soprattutto, una dose di soda caustica quattro volte maggiore. Oltre all’olio, dosato per altro in volume e non in peso (altro grave errore!), è previsto poi l’impiego di farina bianca tipo 00 che non ha altro scopo se non quello di tenere insieme un intruglio caustico che altrimenti sarebbe destinato a restare liquido. E’ la farina, in sostanza, a dare l’illusione che questo miscuglio basico e ustionante possa davvero chiamarsi “sapone”.

soluzione caustica con la farinaPer prima cosa ho sciolto la farina nell’acqua e ho aggiunto la soda caustica. La reazione tra l’alcali e il glutine ha immediatamente trasformato il tutto in un ammasso colloso e viscido, talmente denso da sostenere quasi il peso del cucchiaio di legno mentre scattavo le fotografie.

A quel punto, ho aggiunto l’olio che è subito affiorato sulla superficie dell’impasto e che, nonostante l’uso del frullatore, non ha mai raggiunto un’emulsione stabile.

sapone alla farinaPer via della presenza della farina, l’impasto è risultato molto difficile da frullare, tanto che il motore del minipimer ha cominciato a faticare e ho dovuto lasciar perdere, mentre ancora l’olio navigava allegramente sulla superficie del “sapone”.

Quando ho versato la pasta nello stampo, dopo qualche minuto delle grosse “bolle” di olio non emulsionato sono affiorate in superficie, ma la farina è riuscita a intrappolarle, impedendo loro di “esplodere”. A vederlo così, verrebbe quasi da credere che si tratti di un normale sapone a freddo, e ora sapone farina nello stampocapisco come mai tanti si illudono – o si ostinano a credere che questa sia una ricetta affidabile.

A questo punto ho coperto lo stampo anche se ho notato che la pasta era piuttosto fredda e, osservandola nelle ore successive, non ho mai notato nessun cambiamento che facesse pensare a una fase del gel o a una qualche reazione di saponificazione. La sensazione piuttosto era quella che la farina avesse assorbito e intrappolato la soluzione caustica e che quindi avesse ostacolato – non facilitato, come sostengono i fautori di questa porcheria – la saponificazione del grasso.

La conferma di questa mia sensazione è arrivata dopo una settimana quando ho deciso di tagliare il sapone e di provarlo. La consistenza sulla superficie era ancora molto morbida, tanto che appoggiandoci un dito restava il segno, ma la vera “sorpresa” l’ho trovata tagliandolo.

sapone farinaCome si vede nella foto, questo sapone è, di fatto, un impasto spugnoso di farina e soda caustica non neutralizzata, dentro al quale si sono create sacche di olio non emulsionato e non saponificato. L’odore di soda caustica è fortissimo e la prova “lavaggio” conferma che l’alcali in eccesso non è per niente scomparso, ma è pronto a reagire con la pelle. Ho prelevato circa un cucchiaio di questo “sapone” e mi sono lavata le mani sotto l’acqua corrente. Volevo resistere per 2 minuti, ma ho dovuto fermarmi quasi subito perché la sensazione di “pelle cotta” sulla punta delle dita era davvero fastidiosissima. Non soddisfatta, ho voluto provare a lavarmi un avambraccio, dove la pelle è più delicata che sulle mani, e il risultato è stato prima un marcato pizzicore e poi una chiazza rossa di irritazione che è comparsa nel giro di pochi secondi mentre mi asciugavo. La misurazione del pH, fatta sulla superficie e all’interno, conferma che il sapone alla farina è talmente basico da essere irritante non soltanto se usato per lavarsi, ma anche semplicemente maneggiato. Nel nostro gruppo su Facebook, pubblicheremo altri commenti e sviluppi su questo esperimento, ma intanto, vi prego, non fatevi mai ingannare dalle ricette “tradizionali” che girano su Internet. Prima di fare il sapone, affidatevi a una comunità autorevole come Il Mio Sapone e studiate le basi della saponificazione sul nostro libro “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”. Non rischierete mai di farvi male e di sprecare inutilmente tempo, soldi e fatica!

Ho deciso di conservare una parte di questo sapone e di ripetere sia il lavaggio, sia la misurazione del pH a distanza di tre, sei e dodici mesi. Stay tuned!

dita cotte dalla sodapelle irritata dalla soda

 

 

 

Il “tutto cocco”: un sapone da amare o da odiare

Un pesciolino 100% cocco.

Un pesciolino 100% cocco.

Il sapone di solo olio di cocco è una “creatura” speciale che suscita sentimenti opposti: o lo si ama alla follia o lo si detesta.

Il motivo che porta una parte di saponai a dire che il tutto cocco è  un sapone eccezionale è sostanzialmente il medesimo che scatena l’avversione dei detrattori e ha persino un nome proprio: acido laurico. Il grasso estratto dalla polpa del cocco è composto fino a circa il 50% da questo trigliceride che, se fatto reagire con la soda caustica, produce un sale sodico molto schiumoso ma anche molto detergente. In un altro post su questo blog ho parlato del falso mito dell’olio di cocco irritante. Un sapone di solo olio di cocco produce quindi quantità enormi di schiuma a grandi bolle cremose, ma ha anche un effetto disseccante sulla pelle che lo rende particolarmente aggressivo. Non a caso, nel tentativo di “addolcirlo”, si applicano al tutto cocco sconti soda altissimi (dal 15 al 20%) mentre per saponi fatti con altri oli un superfatting ritenuto “normale” tende a non superare il 10%.

Nonostante sia un sapone mono-olio bisogna inoltre sapere che il tutto cocco non è facilissimo da fare ma richiede un minimo di esperienza per saper gestire possibili “effetti collaterali” dovuti al surriscaldamento. La reazione chimica con la soda caustica è infatti particolarmente “bollente”, tanto che le probabilità di vedere un tutto cocco eruttare fuori dallo stampo o ammassarsi al secondo colpo di frullatore sono tutt’altro che remote.

Ecco quindi un piccolo elenco di ciò che è bene tenere a mente quando si progetta di preparare un sapone di solo olio di cocco.

1) Fate il 100% cocco seguendo il metodo a freddo di base che vi permette il controllo delle temperature. Non seguite né il metodo tutto a freddo, né tanto meno quello ad acqua ridotta dove il rischio di surriscaldamento sarebbe ancora più estremo. Se proprio volete stare sul sicuro, utilizzate il metodo a freddo a temperatura ambiente dove anche la soda caustica è lasciata raffreddare completamente prima di aggiungerla al grasso. Una descrizione di tutti i metodi e delle loro differenze la trovate nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici“.

2) Lavorando col metodo a freddo di base, tenete le temperature di grassi e soluzione caustica sui 35°.

3) Evitate stampi lunghi e stretti (del tipo dei tubi delle patatine o i cartoni del latte), ma preferite forme larghe o stampini monodose dai quali il calore in eccesso possa disperdersi senza problemi.

4) Evitate accuratamente tutti gli ingredienti che contribuiscono ad alzare la temperatura (miele, latte, sostanze zuccherine in genere) e le fragranze cosmetiche che sono note per provocare ammassamento.

5) Andateci piano col frullatore: un paio di colpi in genere sono sufficienti per arrivare al nastro e il sapone è pronto da versare negli stampi.

5) Se avete seguito il metodo a freddo di base non coprite gli stampi, se avete seguito il metodo a freddo a temperatura ambiente usate una copertura molto leggera.

6) Il sapone tutto cocco solidifica molto in fretta. Date un’occhiata dopo 18 ore ed eventualmente toglietelo subito dagli stampi. Timbratelo o tagliatelo immediatamente perché più indurisce e più potrebbe rompersi o sbriciolarsi.

Vantaggi di un sapone 100% cocco: fa tantissima schiuma persino in acqua salata, è molto solubile, deterge in profondità, mantiene molto bene le forme e si presta a stampini con disegni in rilievo, è di un bel bianco perlaceo.

Svantaggi di un sapone 100% cocco: si consuma terribilmente in fretta, aggredisce il film protettivo della pelle e può portare a irritazioni, il cocco non è un grasso a “chilometri zero” o a basso impatto ambientale, il problema del surriscaldamento limita la scelta di ingredienti che si possono usare nella ricetta.

Nel gruppo su Facebook, “Il mio sapone” abbiamo fatto un esperimento collettivo sul sapone 100% cocco che ha dato vita a una discussione molto interessante.

Il sapone di Natale: due esperimenti in una ricetta

Sapone di Natale completo

Il Girotondo di Natale organizzato dagli iscritti al gruppo Facebook “Il mio sapone” mi ha dato l’occasione per creare una nuova ricetta in cui ho voluto sperimentare la combinazione girasole + cocco come base per inserti di piccole dimensioni.

Il primo passaggio è stato proprio quello di creare gli inserti. A questo scopo ho preparato un sapone a freddo usando il 40% di olio di cocco e il 60% di olio di girasole con uno sconto soda del 4%. Ho scelto un grasso saturo da cui si ottengono saponi che induriscono in fretta e l’ho combinato con un olio polinsaturo che produce saponi plastici e morbidi per riuscire ad ottenere un impasto che fosse pronto da tagliare dopo poche ore, ma che non si sbriciolasse o si appiccicasse agli stampini. Ho versato la pasta di sapone in uno stampo rettangolare e l’ho lasciata riposare coperta per 18 ore. Poi l’ho sformata, l’ho lasciata asciugare per un’oretta e l’ho tagliata con delle formine per biscotti.

Gli inserti

Gli inserti

Trascorse 24 ore, ho preparato il resto della ricetta. La base in cui ho inserito cuoricini e stelline è un sapone a caldo in cui ho sperimentato l’aggiunta di emulsionante per migliorare la cremosità della schiuma. Si tratta di un esperimento molto interessante che è stato avviato proprio sul gruppo Facebook e al quale non vedevo l’ora di partecipare!

La ricetta del sapone a caldo prevede 17% di olio di mandorle, 40% di olio di cocco, 38% di olio di oliva, 10% di AS102 (emulsionante autoprodotto) sciolto nei grassi. Ho usato la quantità di acqua per il metodo a caldo a bagnomaria (375 g per chilo di grassi) e, dopo la cottura, ho aggiunto 50 g di olio di mandorle portando così lo sconto soda complessivo al 9%. Per la preparazione della pasta di sapone a caldo ho seguito il metodo che Marina descrive nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale“. Al sapone ho aggiunto 9 grammi di una fragranza cosmetica natalizia, l’ho versato in uno stampo tipo plum-cake, ho sistemato gli inserti e ho spolverizzato il tutto con mica cosmetica perlescente per creare l’effetto-neve.

Per la discussione degli esiti di questo esperimento, ci vediamo nel gruppo su Fb!

La fase del gel: che cos’è, a che cosa serve

Un sapone durante la fase del gel

Un sapone durante la fase del gel

La cosiddetta fase del gel è un momento nel processo di saponificazione che avviene quando la pasta di sapone è stata versata negli stampi e coperta. Durante questa fase la temperatura della pasta di sapone aumenta e il calore si diffonde a partire dal centro della forma verso i bordi. La pasta prende un colore più scuro e, da opaca che era, assume un aspetto “gloss” lucido con una consistenza, appunto, simile al gel.

A seconda dei grassi utilizzati e delle temperature di lavorazione, la fase del gel può avvenire nel giro di mezz’ora dal momento in cui il sapone è stato versato nella forma oppure presentarsi dopo diverse ore. In alcuni casi il gel procede molto velocemente dal centro verso i bordi e, in poche decine di minuti, tutta la pasta diventa traslucida e calda. In altri casi il gel avviene più in “profondità” nella massa di sapone e sulla superficie si può osservare soltanto una macchia di colore leggermente più scura. Di solito, questa differenza di colore tra il centro e i bordi degli stampi è il segno dell’avvenuta fase del gel che si può vedere quando si scopre il sapone dopo 24 ore.

Durante la fase del gel la soda caustica reagisce con gli acidi grassi contenuti negli oli e sparisce, trasformandosi in sapone. Questo significa che i saponi andati in gel sono “neutralizzati” nel momento in cui si raffreddano e si solidificano anche se la stagionatura continua a svolgere un ruolo importante.

I metodi in cui si lavora a temperature bassissime (per esempio per i whipped soaps) e nei quali si raffredda la pasta di sapone per evitare che vada in gel, richiedono dunque tempi di stagionatura più lunghi per consentire la neutralizzazione della soda caustica che non è avvenuta nelle prime ventiquattro ore.

Esistono poi fattori che possono bloccare la fase del gel perché favoriscono la dispersione del calore naturale sviluppato dalla reazione tra grassi e soda. Se il gel non si forma può dipendere dall’uso di stampini troppo piccoli che non trattengono a sufficienza il calore, da una insufficiente copertura delle forme, dalla preparazione di lotti troppo piccoli (inferiori ai 500 g), dal fatto che faccia molto freddo nel locale dove il sapone viene lasciato riposare.

Al contrario esistono ingredienti o situazioni che innescano fasi del gel molto calde e diffuse: l’uso di quantità di olio di cocco superiori al 30%, la presenza di olio di riso o di jojoba, la presenza di latte o miele, certe fragranze cosmetiche, l’uso di stampi alti e stretti che intrappolano il calore, coperture troppo pesanti, temperature di lavorazione molto alte (come nel metodo tutto a freddo), soluzione caustica molto concentrata (come nel metodo ad acqua ridotta), ambienti molto caldi (perché è estate o perché la pasta di sapone viene tenuta vicino a una fonte di calore).

Se il gel è davvero troppo “deciso”, il sapone può gonfiarsi e traboccare dallo stampo nel cosiddetto “effetto vulcano”. Tutte le fasi della saponificazione, le reazioni degli ingredienti e i metodi sono descritti nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”.

Perché il sapone deve stagionare?

Quando Marina ed io cominciammo ad occuparci di sapone naturale fatto in casa, oltre quindici anni fa, si pensava che la stagionatura dei saponi a freddo fosse indispensabile per consentire la totale neutralizzazione della soda caustica.

Il sapone va lasciato riposare, coperto, per 24 oreDa quel momento di sperimentazioni ne sono state fatte molte e tutti siamo ormai arrivati alla medesima conclusione: se un sapone a freddo attraversa la fase del gel, la soda caustica si neutralizza completamente e sparisce nell’arco delle prime ventiquattro ore dal momento in cui la pasta di sapone è stata versata nello stampo. Questo però non significa necessariamente che, nel momento in cui viene tolto dalle forme, un sapone a freddo o a caldo sia pronto per essere usato.

La stagionatura è un periodo importante per la maturazione del sapone. Non perché debba “perdere soda caustica” – quella la perde subito, lo abbiamo detto – ma perché i cristalli del sale che lo compongono abbiano il tempo di “assestarsi” e le tracce di acqua che contiene possano evaporare.

Un sapone che è stato lasciato riposare per le canoniche 4 settimane – ma anche di più – avrà dunque una consistenza migliore, una schiuma più abbondante e una resa superiore. I saponi usati subito – in particolar modo quelli a freddo, ma anche quelli a caldo – tendono a fare poca schiuma, ad essere appiccicosi e bavosi, a consumarsi alla velocità della luce.

Al contrario, se si pensa di rilavorare un sapone per farne gel da bucato o perché si vuole recuperare qualche errore commesso, è meglio farlo entro le prime 48 ore quando è ancora molto morbido e plastico. Il risultato del rilavorato sarà migliore di quello ottenuto con saponi già molto stagionati o secchi.

Per saperne di più sulla saponificazione, sui metodi a freddo o caldo, sui rilavorati, vi indirizziamo al nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici“.

Domande frequenti: metodo a freddo di base o metodo tutto a freddo?

Il metodo tutto a freddo (No Heat applied Cold Process o NHCP) può essere considerata una variante del metodo a freddo di base (Cold Process, CP) la quale sta vivendo una fase di popolarità in questi ultimissimi anni. Ma i due metodi non sono semplicemente uno l’alternativa dell’altro e la scelta tra i due dovrebbe avvenire alla luce di alcune considerazioni.

Controllo della temperatura della soluzione caustica

Controllo della temperatura della soluzione caustica

Nel metodo a freddo di base i grassi e la soluzione caustica vengono portati a una temperatura che può oscillare tra i 38 e i 45°. I grassi vengono scaldati (nonostante si parli di “metodo a freddo”), mentre la soluzione caustica viene fatta raffreddare e il saponaio, con un termometro, tiene sotto controllo le temperature nei vari passaggi del processo. Questo controllo delle temperature è proprio la caratteristica principale del metodo a freddo di base ed è quella che, a mio avviso, la rende più adatta ai principianti. La possibilità di avere il controllo della reazione è un elemento che dà tranquillità e sicurezza quando si è ai primi esperimenti, quando il cuore batte forte, magari le mani tremano un po’ e non si ha ancora la più pallida idea di che cosa succederà nella pentola del sapone.

Nel metodo tutto a freddo la soluzione caustica viene preparata, lasciata decantare per qualche minuto e quindi versata bollente nei grassi che invece sono – o dovrebbero essere – a temperatura ambiente. Questo metodo non prevede alcun controllo delle temperature e non è compreso l’uso del termometro. Ma usare una soluzione caustica a 70-80° senza avere la minima esperienza delle reazioni degli ingredienti potrebbe non essere la strada giusta per chi il sapone non l’ha mai fatto. Temperature così alte in combinazione con determinati ingredienti (per esempio miele, latte ma anche certe fragranze o certi oli come il riso e il cocco) possono portare al surriscaldamento della pasta di sapone con effetti che vanno dall’ammassamento, alla separazione fino al cosiddetto “vulcano”. Si definisce “vulcano” il momento in cui la pasta di sapone è talmente calda che gonfia e trabocca dagli stampi. Questo significa che il metodo tutto a freddo non è per niente più “facile” o più “immediato” di quello a freddo di base, proprio perché richiede al saponaio un’esperienza maggiore, la capacità di lavorare velocemente senza tergiversare e la prontezza per intervenire se si capisce che qualcosa sta andando storto. Per questi motivi, considero il metodo tutto a freddo un ottimo sistema per i saponi da bucato nei quali di solito non è prevista la presenza di ingredienti surriscaldanti o per tutte quelle ricette fatte da saponai che hanno già acquisito un po’ di dimestichezza con la saponificazione e sanno gestirla senza farsi prendere dal panico.

Le varianti del metodo a freddo e tutte le varianti dei metodi a caldo sono descritte, passo dopo passo, nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici”.

Aiuto! Il sapone non è venuto come me l’aspettavo!

Se il sapone non ha l’aspetto o la consistenza che vi aspettavate, prima di farvi prendere dal panico o di pensare a come riciclarlo, seguite questa semplice check-list che trovate, con maggiori dettagli, nel nostro manuale “Il tuo sapone naturale. Metodi e consigli pratici“.

Tirate fuori la ricetta e gli appunti che avete preso durante la preparazione (perché li avete presi veroooo? ) e procedere con questi passaggi:

1. Controllate di aver misurato le quantità giuste dei vari ingredienti (oli, alcali, acqua o altri solventi, additivi) senza sostituzioni o modifiche rispetto alla ricetta che avete seguito.

2. Verificate che la quantità totale degli oli sia almeno di un chilo. Ricordate che lotti più piccoli tendono a essere sempre meno stabili e più proni a provocare “sorprese”, soprattutto se avete ancora poca esperienza per gestirli.

3. Usate un foglio calcolatore come il SapCalc che trovate nel nostro sito per ricontrollare il calcolo dell’idrossido di sodio o di potassio in base alla quantità dei grassi. Verificate la purezza degli alcali che avete usato. Se erano umidi, ammassati o molto “stagionati” potrebbero aver perso parte della loro efficacia.

4. Verificate l’accuratezza della bilancia. Quand’è che avete cambiato le pile? L’avete sistemata in piano prima di pesare? Vi siete ricordati di annullare la tara dei contenitori?

5. Cercate di ricostruire le fasi di preparazione: avete lasciato fuori qualcosa? Avete esagerato con il dosaggio di un additivo? Avete deciso all’ultimo minuto di sostituire un grasso senza riconteggiare la soda? Avete usato un ingrediente nuovo, mai sperimentato prima?

6. Com’erano le condizioni ambientali: troppo caldo, troppo freddo? Com’erano le temperature di grassi e soluzione caustica? Avete coperto bene il sapone quando l’avete versato negli stampi (metodo a freddo)? Avete cotto la pasta di sapone abbastanza a lungo (metodi a caldo)? Quale sistema di cottura avete utilizzato?

Se la ricognizione è completata e non avete rilevato nulla di particolare, ma il sapone continua a sembrarvi “strano”, non fatevi prendere dall’ansia o dallo sconforto. Perché, molto semplicemente, nel vostro sapone non c’è proprio nulla che non va, ma state semplicemente assistendo a un fenomeno che contraddistingue tutti i saponi fatti a mano: la loro unicità!

La funzione del sale nel sapone

ric221Dopo l’immarcescibile coppia latte&miele, dopo il continuo successo dei saponi simil-Aleppo ecco un altro ingrediente che sembra essere diventato molto popolare tra i saponai casalinghi: il sale.

Il cloruro di sodio ha una duplice funzione nel sapone autoprodotto a seconda delle quantità che se ne aggiungono.

Il primo caso è l’uso del sale da cucina per migliorare la consistenza finale del sapone. Secondo l’esperienza di alcuni, basterebbero circa 10 grammi di sale su un lotto da un chilo di grassi per renderlo più duro e compatto. Il sale inoltre, per la sua capacità di “attirare” le tracce di acqua presenti nel sapone, svolgerebbe anche una blanda azione anti-ossidante. In questo caso, si parla dunque di aggiungere l’1% di cloruro di sodio, facendolo sciogliere direttamente nell’acqua della soluzione caustica.

Il secondo caso è l’impiego del sale come agente esfoliante nei cosiddetti “saponi termali”; si tratta di saponi che vengono usati per trattamenti occasionali di pulizia profonda della pelle, laddove sia necessaria la rimozione dello strato più superficiale della cute, quello dove si depositano le cellule morte e il sebo. In questo caso la quantità di sale aggiunta al sapone può arrivare anche oltre il 50% su un lotto da un chilo e il cloruro di sodio viene incorporato nel sapone al momento del nastro, prima di versarlo nelle forme. A seconda dell’intensità dell’effetto peeling desiderato, si possono usare sale fino o grosso, magari pestato nel mortaio per uniformarne la grana. Possono essere utilizzati tutti i tipi di sale, da quello marino a quello dell’Himalaya, da quello del Mar Morto al comune salgemma. Nel libro I tuoi saponi naturali abbiamo previsto diverse ricette di saponi al sale con dosaggi variabili e abbinamento ad altri agenti esfolianti come la pietra pomice (nella foto). I saponi termali vanno utilizzati saltuariamente e con un po’ di buonsenso: chi ha la pelle molto delicata o irritata farebbe meglio ad evitarli, così come non andrebbero mai usati sul viso. L’uso di saponi esfolianti deve essere accompagnato dall’applicazione di una lozione idratante/nutriente che restituisca alla pelle la “protezione” rimossa durante il lavaggio.