Sapone levato: una tradizione che unisce Europa e Sud America
La tradizione del sapone, prodotto in casa riciclando il grasso degli animali macellati e la cenere del focolare, è un tratto che accomuna molte culture contadine del mondo. Dall’arco Alpino al sud della Francia, dall’Europa al Nuovo Mondo, ritroviamo varianti di questo antico procedimento in tutti i continenti come un ideale filo rosso che lega uomini e donne di ogni latitudine. Grazie alla mia amica Beth Bacchini ho scoperto una variante del sapone levato che è ancora comune in certe aree rurali del Brasile. Per chi conosce il portoghese è disponibile questo link con la spiegazione e un filmato finale veramente bellissimo, ma ho pensato di riportare di seguito una mia traduzione del testo. Il sapone è fatto da donna Ziula e da sua figlia Marisa nella comunità di Grumarim, nella zona di Mata de Minas Gerais. Da notare come, donna Ziula tratti il materiale caustico senza alcuna protezione alle mani e agli occhi cosa che assolutamente è da evitare! Soda caustica e liscivia di cenere vanno sempre maneggiate con i guanti per evitare pericolose ustioni. Fare sapone richiede conoscenze tecniche che vanno acquisite leggendo per esempio i nostri manuali sul sapone. Non pensate di replicare questa ricetta senza aver prima assunto le informazioni e le precauzioni necessarie. Il rischio per la vostra pelle, letteralmente, potrebbe essere molto alto!
La ricetta del sapone levato del Mata de Minas Gerais contiene cenere dell’albero del caffè, 1,5 kg di grasso animale, 500 grammi di soda caustica e acqua in quantità non precisata. Prima di tutto Ziula e Marisa setacciano la cenere in modo da eliminare tutte le tracce di carbonella. Passano quindi a preparare la liscivia, utilizzando un contenitore con il fondo bucato e un secondo contenitore che fa da raccoglitore. Nel bidone bucato, Ziula stipa la cenere premendola bene, poi ci versa sopra acqua. Il liquido caustico che cola nel contenitore sottostante è liscivia e ne serviranno 4 litri per il sapone.
Ottenuta la liscivia, Ziula la mette sul fuoco fino a farla scaldare quindi ci aggiunge il grasso animale e mescola per diverso tempo fino a quando il grasso comincia a dissolversi. A questo punto, Ziula scioglie la soda caustica in acqua fredda e la aggiunge alla mistura nella pentola. Il sapone deve cuocere ed essere mescolato per diverso tempo, molto probabilmente per diverse ore come avveniva nella versione alpina che mi è familiare. Quando la mistura si è addensata, Zuila controlla che la saponificazione sia avvenuta sciogliendo un po’ della pasta di sapone in una ciotola con dell’acqua. Se l’acqua diventa bianca come il latte, vuol dire che c’è ancora grasso libero e allora Ziula aggiunge altra soda caustica. Se invece l’acqua non diventa lattiginosa, significa che il sapone è pronto per essere versato in uno stampo di legno dove dovrà stare 12 ore.
Come detto, questa non è una ricetta riproducibile perché Ziula e Marisa posseggono un’esperienza dei dosaggi che deriva da quel “sapere tradizionale non scritto”, trasmesso da generazione in generazione, di cui noi, saponai moderni, siamo privi. Però si tratta di una testimonianza molto interessante e significativa. Una prova, se ancora ce ne fosse bisogno, che le culture del mondo hanno radici comuni e che il sapere tradizionale è una ricchezza da proteggere e tramandare.
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