Abbiamo reinventato la salsa al pomodoro?

Ci sono cose nella nostra vita che esistono e basta. Nessuno si interroga per capire da dove venga il cappuccino, chi abbia per la prima volta cucinato un uovo fritto o inventato la salsa al pomodoro. Sono patrimonio acquisito, di tutti. Ciascuno li interpreta come vuole – per me, per esempio, il basilico è fondamentale sulla salsa al pomodoro – ma nessuno si sognerebbe mai di dire “questa roba è mia, perché l’ho creata io”. Esiste un rispetto, a prescindere, per il misterioso pioniere inventore al quale tutti siamo debitori di una piccola porzione di sapere.

Quando una decina di anni fa – non ricordo l’anno esatto – pubblicai su IlmioSapone.it la ricetta da 1 kg di olio di oliva, 128 g di soda caustica e 300 g di acqua non avevo nessuna pretesa di reinventare la salsa al pomodoro. Il mio obiettivo, allora, era diffondere la ricetta più semplice possibile, che potesse introdurre chiunque all’autoproduzione di sapone senza costringerlo a diventare matto per cercare ingredienti strani. Con quella formula bastava entrare nel supermercato – o guardare nel pensile della cucina – al limite fare un giro in ferramenta e… off we go! Pronti, via!

Non mi ricordo quale fu l’ispirazione per quella ricetta, né sono così ottusa da credere di aver formulato qualcosa di unico e originalissimo, perché i saponi di olio di oliva sono vecchi come il mondo e, come la salsa al pomodoro, nessuno sa più – né si chiede – chi li abbia mai fatti per la prima volta. Quella formula, però, così come la descrizione dei procedimenti e la scelta di certi vocaboli e la concatenazione di certi passaggi e l’uso di certe metafore per descrivere cosa avviene nella pentola del sapone sono miei. Non esistevano prima.

Ho sempre pensato che quella ricetta fosse lì per essere diffusa, così come le altre informazioni contenute nel mio sito: open source, copy left insomma come volete chiamarle. Ma ho sempre preteso almeno una piccola citazione, sapendo perfettamente che quasi nessuno l’avrebbe fatta e che allora mi sarei accontentata dell’onestà che fa dire almeno: “sto utilizzando una ricetta e delle informazioni che non ho creato io”. La trasparenza, insomma, la libertà per riconoscere che no, la salsa al pomodoro l’abbiamo ricevuta in dono da qualcun altro. La usiamo, la modifichiamo, magari diciamo che fa orrore ma che no, non ci appartiene.

Ecco perché quello che mi capita sempre più spesso di trovare oggi in Rete, mi riempie di molta amarezza. Autori di blog  e di pagine sui social che si professano esperti/maestri di sapone, scopiazzando di sana pianta i testi pubblicati sul nostro sito, sui nostri libri e, ovviamente, la famosa ricetta, attribuendosene tutti i meriti e l’esclusività. Persone che nei loro tutorial sul sapone naturale recitano addirittura a pappagallo brani estrapolati dal nostro libro, evitando però accuratamente di citare a quale fonte si siano ispirati e chi abbia loro insegnato/ispirato/suggerito (scegliete voi il verbo) il “sapere” che ora dispensano con tanta autorevole sicumera.

Perché un conto è dire: “questo che vi sto insegnando l’ho imparato da qualcun altro” (e potete anche fermarvi lì, non pretendiamo citazione con nome-cognome-codicefiscale), un conto è far finta che quello che state dicendo sia uscito tutto intero dalla vostra testa, dalla vostra esperienza, dal vostro bagaglio culturale, dal vostro sudore e -non sottovalutiamolo- dal vostro portafoglio di tempo e denaro. E guardate che non è una scusante che veniate a dirmi “eh, ma queste informazioni le ho prese da internet, non sapevo di chi fossero” perché allora state anche facendo i furbetti e vi state comportando come chi, trovando per strada un portafoglio gonfio di bigliettoni, pur sapendo benissimo che *non* è suo, ci va a fare la spesa.

Quello che Marina e io condividiamo con voi – attraverso i nostri siti, i nostri libri, le nostre pagine social – non nasce sotto i cavoli le mattine di luna piena. E’ il frutto di ore passate davanti a questo schermo o tra le pentole del sapone o in giro per biblioteche a documentarci, studiare, provare, testare, pianificare, migliorarci. Ogni riga dei nostri libri è fatica, sono parole uscite dalle nostre teste, giornate passate a discutere se la successione dei capitoli è sufficientemente logica, se il linguaggio che stiamo usando è appropriato, se quel titolo che abbiamo scelto non rischia di trasmettere un messaggio fuorviante e così via.

Non vogliamo un monumento per questo. Ma rispetto, questo sì. E, se capita (perché no??), magari un’ombra di riconoscenza.

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